4 chiacchiere semiserie su: i mille nomi, i mille utilizzi e…i mille fiori del Tarassaco.

Oggi parleremo di come una sola pianta possa trovare molteplici utilizzi in cucina, a seconda della parte utilizzata e dell’epoca di raccolta. E lo faremo con la pianta spontanea mangereccia per eccellenza: il tarassaco.

Il pisciacane, o piscialetto, o dente di leone, alias Taraxacum, meglio conosciuto come Tarassaco (taràssaco con l’accento sulla seconda A) infatti è proprio come il maiale…di cui…lo sapete…non si butta via nulla.

Mille utilizzi proprio come i suoi mille nomi, sia popolari (che possono cambiare da zona a zona) che scientifici. In Italia esistono infatti circa 160 specie appartenenti al genere Taraxacum,ad es. T. officinale, T. apenninum, T. glaciale e persino un T. absurdum (cos’abbia di assurdo non saprei…ma approfondirò).

Parlare dei suoi utilizzi in cucina equivale, praticamente, a fare una lezione di anatomia vegetale di base. Tra un’indicazione culinaria e l’altra vi propinerò quindi una sfilza di termini tecnici, nella speranza che, viste le note proprietà amare del tarassaco, digeriate pure quelli.

Iniziamo dalla parte ipogea della pianta (ossia quella situata al di sotto del livello del terreno). Nel caso del nostro tarassaco, la radice è un fittone carnoso con alcune ramificazioni. Pulita, essiccata e macinata, si utilizzava, e si può farlo anche oggi perché no…, come surrogato del caffè.

Esaminando invece la parte epigea della pianta (ossia quella che cresce sopra al livello del terreno) troviamo le foglie riunite in una tipica rosetta basale. Queste sono semplici (la lamina fogliare è unica e non divisa), lanceolate (più lunghe che larghe), lobate (il bordo forma dei lobi), con margine dentato (i lobi hanno apice acuto). Possono variare molto in forma e dimensioni sia fra specie e specie, che fra individui della stessa specie; ma anche all’interno della stessa rosetta non si trova mai una foglia uguale all’altra. Sono una vera delizia per i palati educati ai sapori amari. Raccolte ancora tenere in primavera si consumano crude nell’insalata, mentre quelle un po’ più mature si possono lessare e ripassare in padella, oppure utilizzate in altre ricette come il favoloso brodo di tarassaco, piatto tipico di Pasqua a Santo Stefano di Sessanio, di cui troverete la ricetta in fondo all’articolo.

Dalla rosetta di foglie si dipartono i fusti (i cosiddetti gambi) che hanno la caratteristica di essere cavi all’interno e di produrre, quando spezzati o tagliati, un lattice bianco. Anche i fusti sono decisamente gustosi. Sfilati in senso longitudinale e messi in acqua freddissima si arricciano deliziosamente! Provateli in insalata con acciughe e capperi oppure a decorazione di insalatine variopinte.

Proseguiamo… In cima al fusto? A seconda dello stadio di maturazione della pianta potrete trovare boccioli, fiori o frutti. I boccioli sono quelle formazioni che precedono la fioritura, che poi maturando e aprendosi si trasformano in capolini. I capolini sono la tipica infiorescenza della famiglia di appartenenza del tarassaco (ossia le Asteraceae), in cui i fiori non sono singoli e isolati, ma sono minuscoli e numerosi, inseriti su un cuscinetto carnoso chiamato ricettacolo. In pratica quel bel “fiorellone” giallo che conoscete per il tarassaco non è un singolo fiore, ma sono tanti minuscoli fiorellini appressati uno all’altro. E’ così anche per il girasole… o per la margherita: quando fate il m’ama non m’ama non state staccando petali…ma interi fiori. Ogni minuscolo fiore, una volta impollinato e fecondato, formerà il suo minuscolo frutto, che nel caso del tarassaco di chiama achenio ed è dotato di pappo (l’ombrellino formato da peli che lo fanno disperdere lontano quando voi esprimete il desiderio…).  I bottoncini carnosi che restano dopo che avrete soffiato via gli acheni con i loro pappi, sono i ricettacoli, ossia i cuscinetto dove erano inseriti i fiori.

E dopo tutta questa infinita spiegazione, ora posso dirvi che boccioli e ricettacoli potete prepararli sott’aceto e utilizzarli sul bollito con cui avete preparato il brodo e per condire l’insalata di fusti arricciati. Mentre i fiori….beh….sbizzarritevi: sciroppi, marmellate, risotti o semplicemente nell’insalata!

Visto? Non abbiamo sprecato nulla. Solo i semi, attaccati al loro magico ombrellino, li abbiamo lasciati volare a fare il loro compito importantissimo di esaudire desideri e posarsi là dove destino vuole che nasca una nuova pianta di Tarassaco.

Un’unica accortezza…il luogo di raccolta! Perché….se lo chiamano pisciacane…un motivo c’è!

E ora, come promesso….

Il brodo di Tarassaco (una ricetta di Rosa, Mirella e Letizia Cucchiella)

Il brodo di tarassaco è una ricetta tipica delle feste nelle zone di Santo Stefano di Sessanio, che richiama, nel gusto e nella preparazione, il famoso brodo di cardo che si prepara a Natale (d’altra parte Cardo e tarassaco appartengono alla stessa famiglia botanica delle Asteraceae).

Raccogliete e pulite molto bene le rosette di tarassaco, eliminando residui di terra, foglie rovinate e la parte basale troppo dura. Sbollentatele in acqua per qualche minuto.

Preparate un ottimo brodo di gallina, come nella tradizione, o di carni miste per poter servire poi un secondo piatto. Aggiungete al brodo le rosette di tarassaco spezzettate e precedentemente lessate a parte per togliere l’amaro.

Preparate una stracciatella di uova e pecorino locale e aggiungetela al brodo di tarassaco sempre mescolando. Una macinata di pepe e servite caldissimo.

P.S. Se raccogliendo le rosette di tarassaco vi sarete imbattuti nei boccioli e nei fusti, preparateli in agrodolce facendoli bollire in acqua e aceto con un po’ di zucchero e utilizzateli per servire il bollito. Buon appetito!!

https://youtu.be/gMk3fNIHb2k