L’antenata della carota era proprio una tipa tosta

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La domesticazione delle piante e Daucus carota

Lo sapevate che tutti i vegetali che trovate nel minestrone Findus, quelli che vostro nonno coltiva nell’orto e anche le piante che si acquistano nei vivai come ornamentali, hanno, da qualche parte nel mondo, un “progenitore selvatico”? Un antenato creato dalla natura insomma, e non dall’uomo, e qualche lontano parente che magari cresce spontaneo proprio nel giardino di casa vostra, nella rotonda più trafficata della vostra città o nell’aiuola dove portate il vostro cane a fare pipì.

Prendiamo ad esempio…. la carota. Come potremmo sopravvivere senza di lei? Pensate a come sarebbe triste questo mondo senza la carota. Nessun soffritto sarebbe più lo stesso, un disastro per il ragù! L’ACE si chiamerebbe magari sempre ACE, ma la C starebbe per Carciofo oppure per Cappero (vi lascio immaginare il sapore) e gli autogrill, senza le tortine di carote e mandorle, sarebbero dei luoghi assolutamente insulsi.

Ma soprattutto…il betacarotene!!! Questo favoloso antiossidante, precursore della vitamina A e del retinolo, che ci aiuta dunque con i problemi della vista e della pelle, importante antitumorale, coadiuvante per una sana crescita ossea e per il benessere dell’apparato cardiovascolare…una panacea insomma! Da dove l’avrebbe estratto per la prima volta lo scienziato Wackenroder se non dalla radice di carota? E da quale vegetale che pure lo contiene avrebbe quindi preso il nome? Si sarebbe potuto chiamare: betaspinacene, betalbicocchene, betapeperonene...

Invece è successo che, per fortuna, da una pianta spontanea, attraverso attente selezioni degli individui che producevano radici più carnose, più grandi, più tenere e successive risemine dei loro semi, si è arrivati alla carota così come la conosciamo noi. Questo processo si chiama “domesticazione” ed è molto simile a quello che ha permesso di selezionare le varie razze di animali da compagnia o da allevamento a partire da un antenato selvatico (il cane dal lupo, la mucca dall’uro, la pecora dal muflone…). La domesticazione delle piante è iniziata contemporaneamente all’agricoltura, nel Neolitico dunque, e, probabilmente, all’inizio fu compiuta in maniera quasi inconsapevole, raccogliendo in natura da quelle piante che presentavano frutti più grandi o foglie più tenere, ad esempio, e riseminandole successivamente negli orti e nei frutteti.

Tempo fa un agricoltore navellese mi spiegava che i famosi ceci di Navelli (AQ) hanno la caratteristica di avere la buccia sottile e che non si separa in cottura dalla polpa. Questo viene considerato un pregio perché in questo modo la zuppa è più digeribile e, diciamocelo, le buccette galleggianti non sono proprio un bel vedere e poi si infilano fra i denti costringendoci a faticose ed imbarazzanti acrobazie linguali. Insomma…questo mi aveva fatto riflettere sul meccanismo della domesticazione, finalizzata a selezionare caratteristiche organolettiche migliori o che facilitassero la coltivazione, la raccolta o la lavorazione del vegetale (provate a sgranare il legume di un Lathyrus… parente selvatico del pisello).

Il progenitore selvatico della carota è, probabilmente, Daucus gracilis che cresce spontaneo in Afghanistan, ed è qui che, circa 5000 anni fa, è iniziata la sua domesticazione. Successivamente, verso la fine del medioevo, le carote arrivarono nel mediterraneo grazie agli arabi. In Italia la loro comparsa risale al secolo XIII. Pare che le prime carote coltivate fossero gialle o viola. Ma quelle gialle erano troppo smorte e quelle viola erano troppo scure e tendevano a “macchiare”, per l’alta concentrazione di antocianine presenti, qualunque altro ingrediente venisse associato in cottura. Così la domesticazione continuò fino ad ottenere il colore arancione che sembrò soddisfare finalmente l’atavico perfezionismo umano in cucina. Ciò successe in Olanda nel XVII secolo. Qualcuno dice che il colore arancione fu ricercato per omaggiare la dinastia degli Orange, ma io personalmente sono più propensa a credere alla spiegazione che vi ho dato sopra (se non siete stati attenti rileggete).

Comunque…nei nostri campi, ma anche negli incolti, sui margini stradali, nei giardini come “erbaccia”, e spesso l’ho vista nelle fessure dell’asfalto e dei marciapiedi, cresce invece la nostra Carora selvatica (Daucus carota), un parente stretto di Daucus gracilis.

Se avrete voglia di armarvi di piccone per estrarne dal terreno un certo quantitativo e provare a prepararla come fareste per una normale carota da supermercato….vi farete un’idea del perché c’è stato bisogno di “domesticarla”.

E’ sicuramente molto saporita, ma…. è dura come il legno!

Ma attenzione! La Carota selvatica  ha un’infiorescenza ad ombrella tipica della famiglia botanica di appartenenza cioè quella delle Apiaceae (anche detta “ombrellifere”), e dunque si può confondere con altre specie, anche tossiche come ad esempio la Cicuta (Conium maculatum). Questo è il motivo per cui si sconsiglia sempre ai neofiti di raccogliere piante della famiglia delle Ombrellifere se non si è assolutamente certi di saperle distinguere.

Ma due dritte ve le voglio dare… Il tossico Conium maculatum si riconosce per il fusto glabro macchiato di viola. Invece il nostro Signor Daucus si riconosce per il fusto setoloso, il fiore nero al centro dell’ombrella (pare serva ad attrarre l’attenzione dell’insetto impollinatore) e per l’inconfondibile odore della radice: indovinate di cosa sa???? Molto caratteristica anche l’infruttescenza di Daucus carota, che a maturità si richiude su sé stessa assumendo una caratteristica forma a nido d’uccello.

Paradossalmente in fitoalimurgia (ossia nell’alimentazione con le piante spontanee) la radice è poco versatile, proprio per la sua legnosità. In rete si trovano alcune ricette, ma io, personalmente non sono mai riuscita ad apprezzarla. Vi consiglio piuttosto di provare le foglie tenere in insalata (ma solo se siete certi di saperla riconoscere) e le infiorescenze pastellate e fritte….una vera golosità!

Concludo svelandovi che, secondo me, la cosa più interessante di Daucus carota è la perfetta geometria della sua infiorescenza ipnotica. Osservatela e ditemi se non è incantevole…

Alla prossima!!

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